08/03/2016 | Comunicati stampa |
"Ripensiamo l'Europa delle regole bancarie per riprendere la via dello sviluppo". Audizione di Federcasse presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato | |
Ribadita la posizione sul Decreto di Riforma del Credito Cooperativo. Audizione di Federcasse (l’Associazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali italiane) oggi a Roma di fronte alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, nell’ambito della “Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio”, anche in riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi europee. La delegazione di Federcasse era composta dal Presidente Alessandro Azzi, dal Direttore Generale Sergio Gatti e dal Vice Direttore Generale Roberto Di Salvo. Federcasse, in apertura di audizione, ha ringraziato il Presidente della VI Commissione del Senato, il sen. Mauro M. Marino per aver promosso – coinvolgendo anche la Commissione Finanze della Camera – il Seminario istituzionale del 15 ottobre 2015 nel corso del quale è stata presentata e discussa nella sede parlamentare la proposta di Autoriforma del Credito Cooperativo. Al tempo stesso Federcasse ha sottolineato la forte sensibilità dimostrata dalla stessa Commissione rispetto alle istanze del Credito Cooperativo nel corso dell’iter di approvazione della Legge di Delegazione Europea 2014. Fissando i princìpi della delega al Governo per il recepimento in Italia di delicatissime direttive, quali in particolare, la BRRD e la DGSD, la Commissione ha accolto una serie di riflessioni di modifica del testo originario che erano state avanzate dal sistema BCC. Sintesi della Memoria presentata da Federcasse.
2. La posizione organica di Federcasse sull’Unione Bancaria in vista della revisione delle norme del 2017. Per quanto riguarda in particolare lo SMEs supporting factor - che consente di ottenere un assorbimento di capitale delle banche meno oneroso a fronte di finanziamenti dalle stesse erogati alle PMI – questo rappresenta una “conquista” del nostro paese che l’ha proposta e sostenuta in ambito europeo con un’emblematica (e purtroppo rara) azione “sistemica” (Associazioni delle imprese e Associazioni delle banche col supporto di Governo e Parlamento) e ne ha promosso l’inserimento nell’ambito della definitiva emanazione del pacchetto che recepisce nell’Unione Europea quanto previsto da Basilea 3 (CRDIV/CRR): in particolare, lo SMEs Supporting Factor è oggi presente all’art. 501 (1) del CRR, Regolamento n. 575/2013). Da alcuni studi è emerso che dopo l’introduzione dello SME Supporting factor, sono migliorati sia la disponibilità sia il costo del credito per le PMI. Infatti, oltre ad una riduzione dei tassi, il trend di crescita dell’erogazione del credito nei confronti delle PMI è nettamente migliorato rispetto a quello delle imprese di maggiori dimensioni. Si è registrato inoltre un minore impatto sui c.d. RWA (risk-weighted assets) che si è tradotto in un aumento medio del valore del CET1 dello 0,8%. L’introduzione dello SME Supporting factor ha portato probabilmente indubbi vantaggi a tutti gli intermediari europei, ma certamente ancora di più per quelli italiani in quanto operano in un’economia nella quale il peso assoluto e relativo delle PMI è decisamente maggiore rispetto a quello di altri importanti Paesi europei. Questo vale, a maggior ragione, per le BCC che si rivolgono – nel finanziamento alle aziende - pressoché esclusivamente alle piccole e medie imprese, con quote di mercato che ricordiamo dettagliatamente nell’Appendice. Il Supporting Factor ha generato per le BCC la “liberazione” di capitale regolamentare per un valore che equivale a circa 500 milioni di euro. Questa misura, per il Credito Cooperativo, va confermata e possibilmente ampliata. 3. Una considerazione di approccio di strategia politico-normativa. 4. Il rischio che Basilea 4 geli la timida ripresa e riduca il credito bancario all’economia reale. Nella Memoria, Federcasse sottolinea come “Basilea 1” fosse scritta in 35 pagine, “Basilea 2” in 347 pagine, mentre per “Basilea 3” si è arrivati a 2.000 pagine più altre 2.500 di standard tecnici (sempre più complessi). I timori per Basilea 4 non sono soltanto relativi ai pesanti oneri amministrativi derivanti dall’adeguamento ad una nuova ulteriore normativa. Si riferiscono anche al rischio che gli standard prevedano un assorbimento patrimoniale per i titoli di Stato e che si esageri nel rendere più stringenti i criteri di valutazione del credito deteriorato. L’introduzione di una norma che imponga alle banche un assorbimento patrimoniale inversamente proporzionale al rating dello Stato emittente è una misura inaccettabile sotto il profilo sia politico sia di sostenibilità tecnica con imprevedibili ripercussioni anche sugli equilibri di finanza pubblica e sul rischio di una crescente dipendenza del bilancio dello Stato da soggetti esterni. L’appesantimento delle esigenze di capitale per le banche avrebbe il deleterio effetto di “gelare” la ripresa. Ne pagherebbero il prezzo soprattutto le piccole e medie imprese. Va notato, infine, che l’intero impianto degli standard di Basilea poggia sul principio del capitale contabile. Ma in Europa manca un linguaggio contabile unico e dovrebbe essere proprio l’unificazione di tale linguaggio la preoccupazione primaria della Commissione UE, piuttosto che quella di aumentare e inasprire i filtri di assorbimento di capitale. 5. Gestione delle crisi e tutela del risparmio. La Memoria ricorda l’interpretazione della DG Concorrenza secondo la quale, sebbene i fondi di garanzia siano alimentati esclusivamente con risorse delle banche, essi possano avere la veste di fondi pubblici, in quanto previsti per legge e sottoposti all’approvazione dell’Organo di Vigilanza per gli interventi. Se ne è avuto un esempio nella vicenda della risoluzione delle 4 banche (tre Spa ed una Popolare) deliberata il 22 novembre 2015, nella quale è stato applicato il principio del “burden sharing”, imponendo il concorso al sostegno delle perdite in primo luogo a carico di azionisti e obbligazionisti subordinati. L’opzione della risoluzione è parsa alle Autorità l’unica possibile “per la migliore tutela dei depositanti e degli investitori e al fine di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria ed economica” dopo che almeno altre due ipotesi di soluzione non avevano potuto realizzarsi o perché non autorizzate dalla Commissione Europea o perché non rese possibili dall’adesione, volontaria e tempestiva, di tutte le 208 banche aderenti al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. La conseguenza dell’insuccesso di queste ipotesi è stata particolarmente gravosa, in termini generali e particolari: a) in termini generali per il costo dell’operazione di salvataggio, molto maggiore di quello che si sarebbe avuto in caso dell’utilizzo dello strumento DGS (imposizione svalutazione delle sofferenze al presunto prezzo di realizzo) e per il pesante impatto sui risparmiatori; b) in termini particolari per le BCC, il non potersi sottrarre al richiamo obbligatorio di fondi (225 milioni di euro l’impatto dei contributi richiesti), a fronte della prospettiva dell’incertezza di poter beneficiare dell’intervento dello stesso strumento in caso di necessità (intervento subordinato, come noto, al criterio “dell’interesse pubblico”). Sulla scorta di tali considerazioni in molti, negli ultimi tempi, anche la stessa Banca d’Italia, si sono espressi circa l’opportunità di prevedere una “moratoria” nell’entrata in vigore della normativa sul risanamento e risoluzione delle crisi. La scelta interpretativa della normativa sugli aiuti di Stato adottata dalla Commissione Europea ha avuto impatto anche sulla soluzione della crisi di tre BCC in amministrazione straordinaria (Banca Padovana, Banca Irpina e Banca Brutia) per le quali non si è potuto far ricorso alla funzione svolta dal Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (FGD). A fronte di tale situazione, Federcasse ha “immediatamente e responsabilmente” promosso una serie di iniziative sia di carattere istituzionale sia di natura progettuale, deliberando un intervento di carattere volontario, sostitutivo di quello che avrebbe effettuato il FGD. Il Credito Cooperativo, quindi, si è fatto carico, come sempre accaduto, di risolvere le proprie criticità facendo ricorso esclusivamente a risorse interne, senza alcun esborso per i contribuenti, per le altre banche e tenendo indenni anche i portatori di obbligazioni subordinate, che sono stati interamente tutelati. Il Credito Cooperativo, in ragione di ciò, chiede al Governo Italiano di farsi portatore presso le Autorità di Bruxelles di una linea di policy ben determinata sul nuovo Sistema unico europeo di garanzia dei depositi bancari (EDIS) e di ridurre gli oneri per tutta l’industria bancaria italiana che non ha giovato di aiuti di stato nei sette anni di crisi, ottenendo dalla Commissione Europea una riduzione dei contributi che le banche italiane debbono versare ai DGS, a partire dal 2016, così come da tempo richiesto e argomentato da Abi, da Federcasse e dai due Fondi di garanzia dei depositanti, puntando sullo 0,5% quale target. Inoltre – prosegue la Memoria - sarebbe opportuno prevedere misure che favoriscano l’attuazione degli schemi volontari di intervento nelle situazioni di crisi bancarie, in modo da assicurarne la sostanziale neutralità rispetto al sistema obbligatorio e prevedendo la deducibilità fiscale dei costi connessi alle contribuzioni, agli interventi e al funzionamento degli schemi volontari, anche se non incardinati all’interno di Fondi obbligatori. Inoltre, le BCC contribuiscono sia al Single Resolution Fund che ai fondi ex ante previsti dalla direttiva DGS. Il costo complessivo previsto è di circa 90-100 milioni l’anno (escludendo le contribuzioni straordinarie come quelle effettuate a fine dicembre per il decreto cosiddetto “salvabanche”). Questo ammontare appare straordinariamente elevato in confronto alla probabilità che le BCC possano causare degli esborsi ai due fondi in quanto : • essendo piccole banche potrebbero non passare il test dell’interesse pubblico (e quindi non accedere al SRF); Per questa ragione, il Credito Cooperativo propone di intervenire nella “fase ascendente” della normativa EDIS con alcuni correttivi. In particolare: In estrema sintesi, per il Credito Cooperativo, l’Europa va ripensata anche a partire da un approccio nuovo, più ragionevole e realistico, nella produzione delle norme. Esiste, per Federcasse, una opportunità rappresentata dalla annunciata “manutenzione” del Single Rule Book. Occorre fare in modo che si traduca in un cambio concreto e coerente di scelta politica. Particolare evidenza, nella Memoria, è stata dedicata al tema della Riforma del Credito Cooperativo italiano, in fase di conversione in legge del Decreto n.18/2016 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15 febbraio scorso. Nel merito, Federcasse ha ribadito quanto già evidenziato e richiesto in occasione della Audizione tenutasi lo scorso 29 febbraio presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati, oggetto di apposito e dettagliato Comunicato stampa. Il testo – richiedibile agli indirizzi in calce - è altresì scaricabile all’indirizzo: http://www.creditocooperativo.it/news/dettaglio_news.asp?hNewsID=124803&i_menuID=35328 Per scaricare il PDF clicca qui |
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